Carissima università 02-08-2014

Tasse universitarie. La politica depressiva italiana incentiva gli abbandoni.

02-08-2014

Carissima università


In Italia, le università statali rispecchiano fedelmente gli orientamenti fiscali nazionali.

Tasse di iscrizione e di immatricolazione, non meglio definiti contributi per sostenere gli esami di ammissione in caso di richiesta di partecipazione a corsi regolati dal numero chiuso, tassa regionale per il diritto allo studio ecc. ecc. ecc.
E così, dal 2003 al 2013, i ricchi incassi delle università statali sono aumentati del 57% a fronte, beninteso, di un numero di iscritti calato del 7%.
Tanto per rendere meglio l'idea, le tasse che ogni iscritto deve pagare sono cresciute dai 683 euro del 2003 ai 1.151 del 2013, una crescita del 69%.

In Italia, comunque, le università statali seguono attentamente non solo i rapaci orientamenti nazionali ma anche quelli locali, notoriamente caratterizzati da fumosi di "arrotondamenti", "conguagli" ecc. ecc.
Infatti, grazie a voci un tempo assenti,  arricchiscono ulteriormente i loro budget; ad esempio, il semplice tirocinio formativo attivo per  laureati interessati al conseguimento dell'abilitazione all’insegnamento, garantisce alle università 20 milioni di euro l'anno.

Per non parlare, poi, dei corsi di dottorato, di specializzazione o per il conseguimento di master.

Le conseguenze di questo atteggiamento piratesco sono state sostanzialmente 3; forte calo delle iscrizioni, aumento degli abbandoni e, per chi se lo può permettere, studi universitari all'estero dove alcune ataviche storture, come baronie, raccomandazioni e concorsi opachi non trovano spazio alcuno.

Senza contare un ultima, fatale conseguenza generale e cioè la perdita di cervelli letteralmente in fuga da un Paese che invece di dare pensa solo a prendere sempre di più.

Finchè dura.